Un paese può crescere lasciando indietro le donne? È ormai assodato che l’emergenza Covid-19 si sia riversata in modo netto sull’universo femminile, inasprendo quelle disuguaglianze che, al contrario, dovrebbero essere combattute. Prima della pandemia le donne occupate erano faticosamente arrivate al 50 per cento del totale, che è già una percentuale bassa. Al momento in Italia sono al 48,5 per cento (in Europa il 62 per cento). Per capire la gravità della situazione, va detto che le giovani italiane hanno il tasso di occupazione più basso d’Europa, inferiore a quello della Grecia. E si parla di donne che sono più istruite degli uomini, ma che il nostro Paese non riesce ad occupare. Secondo la Banca d’Italia, se il tasso di occupazione femminile arrivasse al 60 per cento, il PIL crescerebbe di 7 punti.
Un dato positivo si evince anche dalla ricerca ENI: da quanto emerge dalle conversazioni on line, nonostante l’emergenza, pare che le persone non si siano dimenticate delle discriminazioni di genere. L’ENI Datalab – laboratorio di data science, analytics e intelligenza artificiale del colosso dell’energia – ha analizzato il tema della gender equality, che è il numero 5 dei 17 dei Sustainable Development Goals, attraverso ciò che emerge dalla rete. Le parole connesse a uguaglianza di genere sono presenti ovunque nelle ricerche di Google, anche se l’Italia è al 71° posto dei 76 paesi considerati. Significativo è che il 48% circa delle persone che dialogano di questi argomenti sia di genere maschile. Li vogliamo definire timidi segnali positivi, ma c’è ancora tanta strada da percorrere.